Film di apertura
Gian, un professore di etnomusicologia sessantacinquenne, lotta con l’oscurità causata da un’improvvisa amnesia. Perseguitato da frammenti di passato, che emergono nella sua mente con l’apparenza sgranata di remote immagini d’archivio, riceve dalla figlia Miriam, trattata come un’estranea, un diario da lui scritto a vent’anni. Gian si rende conto che ruota tutto intorno a Leila, la donna franco tunisina con cui ha scoperto l’amore nello spazio di una notte. Chi è questa donna che ha avuto una tale importanza nella sua vita? Come è possibile che l’abbia dimenticata? L’indagine risveglia la sua memoria, lo fa tornare alla scena primaria del film, quella di un lutto celebrato tra note orientali di tè profumati e dolci a forma di fiori. Attraverso i suoi Sé passati e grazie al profondo amore per la donna, Gian ha la forza di riscoprirsi padre e di accettarsi vedovo, affrontando la prova più difficile: accettare di aver perso qualcuno e imparare a ritrovarlo.
«Sulla Terra leggeri è un film sulla perdita e sul tentativo, a volte disperato, di ritrovare ciò che si è perduto: la memoria, un amore, ma anche un’ epoca del passato – rievocata dagli archivi con i suoi personaggi muti e reali che prima di Gian hanno amato, perduto, pianto, riso, vissuto – e un orizzonte mitico, evocato da antichi rituali, capace di creare un dialogo familiare tra vivi e morti, di dare un senso collettivo e cosmico ai destini individuali.
L’assenza di memoria genera in Gian una fantasmagoria di immagini e allucinazioni ad occhi aperti. Il ricordo causa un cambiamento, un’apparizione, un’epifania. La parola chiave che mi ha guidato è: frammentazione. L’irruzione di immagini e flash frammentari che riescano a raccontare la sua confusione. Riuscire a rendere lo spettatore testimone di questo processo di deterioramento. E c’è qualcosa che ha a che vedere con sentire che c’è un’epoca che se ne sta andando e una forma di amare. Perché quando qualcuno se ne va non muore solo quella persona, muore un mondo con lei, un’epoca. E l’archivio è l’epoca. Per questo è così importante legare il racconto con la consistenza dell’archivio.»
– Sara Fgaier