La Natura dell’archivio è la sezione del festival dedicata alle contaminazioni tra mondo botanico e memoria, pellicole, archivi. Quest’anno ospita una preziosa retrospettiva dei film di Rose Lowder, alla presenza dell’artista.
A cura di Laura Vichi.
Les arts […] n’agissent, si je puis dire, qu’au second degré, par reflets. Ils ne travaillent pas, tel le Cinéma, avec la Matière-vie elle-même.
Germaine Dulac
Rose Lowder nasce a Lima, dove studia pittura e scultura all’Art Center (1951-1957) e alla Escuela des Bellas Artes (1957-1958). Trasferitasi a Londra, frequenta il Regent Street Polytechnic (1960-1962) e poi la Chelsea School of Art (1962-1964). Nello stesso periodo vede Recreation di Robert Breer (1956), un film che sembra averla particolarmente segnata per la sua attività futura. Una volta terminati gli studi, lavora come editor assistant per la BBC, dove ha modo di incrociare registi come Ken Loach, Ken Russel e Peter Watkins. Legge moltissimo sul cinema e, a partire dalla metà degli anni ‘70, da artista che si interessa alle questioni della percezione, realizza i suoi primi film e fonda con il suo compagno cineasta e studioso Alain-Alcide Sudre, le Archives du Film Expérimental d’Avignon, una collezione di pellicole inedite e documenti rari oggi conservati presso Light Cone (Parigi). Più tardi, alla sua pratica filmica si aggiungeranno una tesi di dottorato sul film sperimentale come strumento di ricerca sulla visione e un insegnamento in Teoria ed estetica del cinema sperimentale all’università di Paris I (1996-2005).
La serie d’esordio Loops (1976-1977), realizzata agendo direttamente sulla pellicola e attualmente disponibile in una versione sintetica composta da Lowder, è uno studio, da un lato, sulla creazione di immagini in quanto effetti visivi esistenti unicamente sullo schermo al momento della proiezione, dall’altro, sullo scarto tra ciò che viene visto e ciò che è percepibile a seconda della disposizione degli elementi sulla pellicola. Un simile approccio ha fornito la base per buona parte dei film girati successivamente, dove le immagini si generano sullo schermo sulla base della nostra percezione.
Lowder è autrice di circa sessanta films, sempre rigorosamente in pellicola 16mm, a dimostrazione dell’importanza della dimensione materiale nel suo lavoro, che resta personalissimo malgrado siano individuabili per certi versi dei precedenti storico-estetici, da Maya Deren, al citato Breer a Peter Kubelka.
Al centro della sua filmografia si trova il mondo naturale in una prospettiva decisamente ecologica, che tra l’altro rispecchia il modo di essere e di vivere della cineasta, in quanto individuo e in quanto artista. Lowder sembra far corpo con il suo cinema, in un rapporto quasi osmotico allo stesso tempo con la cinepresa e con i soggetti filmati, sui quali non apporta forzature, aspettando il momento giusto per registrarne la realtà fenomenica.
Ad oggi un’occasione unica in Italia, Archivio Aperto presenta in tre programmi un ventaglio di film, che mette in risalto le famose serie di “bouquets” realizzate a partire dal 1994 da Lowder, per la quale i film sono esperimenti più che lavori compiuti. Allora i Bouquets si configurano come dei “laboratori” in cui la natura viene esplorata, inquadratura per inquadratura, in un gioco tra l’alea delle condizioni di ripresa in plein air e il rigore geometrico del metodo. Si intrecciano così un’ottica impressionistica che guarda alla casualità del vivere e la precisione di una regola che, in una sorta lavoro di tessitura, la cineasta si impone attraverso un particolare uso delle sue Bolex, scegliendo esattamente che immagini girare e quando, andando a utilizzare fotogrammi lasciati vergini in precedenza per girarli al momento opportuno, in una estrema economia del filmare.
Cosicché se un Bouquet dura circa un minuto, la sua realizzazione può comportare più giorni di lavoro o rimanere interrotto finché non ci sono le condizioni giuste per riprenderlo. Per Lowder infatti non si tratta di rimodellare gli elementi naturali, ma di instaurare un dialogo con il reale in modo da mostrare una natura viva e vibrante e non di creare delle nature morte. Al momento della proiezione, come in fuochi d’artificio, le immagini ordinate con grande rigore e mai sovrapposte sulla pellicola, prendono vita sullo schermo interagendo tra di loro.
Nei tre programmi proposti, vengono esplorati la relazione tra la tecnica e il mondo naturale (soprattutto vegetale, ma non esclusivamente), sia come principio strutturante (Voliers et coquelicots può essere visto come esemplare in questo senso) che come soggetto, sconfinando anche verso film che hanno una valenza documentaria (per esempio Fleur de sel). L’altro polo attorno a cui ruota la nostra selezione è il rapporto tra il caso, che, all’improvviso, può irrompere configurando il reale in modo inaspettato, impromptu (come recita il titolo di un film) e la necessità, che innerva l’estetica del cinema di Lowder sotto forma di costruzioni estremamente controllate che danno luogo a emozionanti poesie cinematografiche.
In collaborazione con Light Cone.
Si ringrazia Vincent Sorrel per la preziosa collaborazione.