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13.10.2023

Intervista a Mila Turajlić

Intervista a Mila Turajlić

Di seguito, riportiamo alcune domande poste alla regista Mila Turajlić in merito al suo film in concorso Non-Aligned: Scenes from the Labudović Reels.

 

Che tipo di lavoro hai fatto sui materiali d’archivio per il tuo film?

 

Non-Aligned è un film che nasce da un archivio filmato che ho trovato negli ex cinegiornali jugoslavi, un’istituzione che documentava la vita politica e sociale della Jugoslavia socialista. Ho  incontrato l’ultimo cameraman vivente di questi cinegiornali, il quale aveva 87 anni ed era stato il cameraman del presidente jugoslavo Tito per più di 30 anni. Ho iniziato a lavorare con lui per ricontestualizzare e pensare attraverso gli archivi che aveva filmato un momento politico molto particolare degli anni Cinquanta e Sessanta, quando i Paesi dell’Africa e dell’Asia si stavano decolonizzando e nasceva il movimento dei Non allineati. Abbiamo lavorato con materiali d’archivio che non erano mai stati mostrati pubblicamente o montati prima, materiale che egli aveva filmato nei Paesi di recente indipendenza e per i movimenti di liberazione in Africa. Una cosa particolare che ci è successa è stata trovare 26 bobine di riprese non utilizzate del primo summit che si è svolto nella mia città natale, Belgrado, nel 1961, e poi abbiamo trovato le registrazioni audio del summit negli archivi di radio Belgrado. C’è una scena nel film che mostra il modo in cui abbiamo cercato di sincronizzare l’immagine con il suono.

 

Ci puoi raccontare cosa significano per te le immagini e le registrazioni d’archivio nel contesto della tua ricerca su un argomento così importante sia per te personalmente che per la grande Storia? 

 

Il movimento è in gran parte un momento politico dimenticato nella storia della nascita del terzo mondo ed è un tema che volevo approfondire da molto tempo perché, crescendo nella Jugoslavia socialista, sono stata educata a credere che questo fosse stato un importante movimento di solidarietà internazionale, ed era qualcosa che volevo quindi rivisitare personalmente: questo gesto di collaborazione transnazionale ha davvero segnato la mia visione del mondo.

È vero che anche a 30 anni dalla sua scomparsa sento che quando viaggio e dico alla gente che sono jugoslava, in Paesi come l’India o l’Egitto o l’Algeria, mi sento immediatamente accolta, e c’è questa sensazione di un linguaggio politico comune. Questo è stato davvero il motivo per cui ho voluto esplorare gli archivi come movimento, perché stavo cercando di rivisitare quel momento e capire di cosa si trattava.

 

Vuoi suggerire qualche titolo di film di found footage e/o film sperimentali che sono stati importanti per la tua formazione?

 

I titoli che potrei suggerire non sono purtroppo disponibili al pubblico. Per me uno degli incontri più trasformativi che ho avuto con il found footage o con il film sperimentale è stata un’installazione artistica di Elizabeth Price, intitolata Woolworths choir, che ha vinto il Turner Prize credo cinque anni fa, e ricordo che quando l’ho vista a Londra alla Tate mi ha colpito non solo per l’incontro fisico con l’archivio proiettato in questo spazio, ma anche per il modo ritmico e intenso in cui l’artista trasforma questo materiale d’archivio, che ha portato davvero lontano le mie riflessioni sul materiale d’archivio. C’è anche un bellissimo film di Bill Morrison, Dawson City: Frozen Time, che ripercorre il destino dei film dell’era del muto che hanno terminato la loro vita nella città di Dawson, in Canada, ed è assolutamente avvincente; è formalmente molto semplice per certi versi, ma racconta una storia molto ricca e complessa della storia del cinema.