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14.10.2023

Intervista a Natalie Cubides-Brady

Intervista a Natalie Cubides-Brady

Di seguito riportiamo qualche domanda posta a Natalie Cubides-Brady riguardo al suo film in concorso The veiled city.

 

Che tipo di lavoro hai fatto sui materiali d’archivio per il tuo film?

 

Il film è nato dalla visione di alcune fotografie di Londra durante il Grande Smog del 1952. Mi ha colpito il modo in cui lo smog aveva un effetto ammaliante, trasformando la città in un luogo sia di magia onirica che di morte premonitrice. 

Mi interessava lavorare con il materiale d’archivio in modo da potermi riappropriare del filmato senza separarlo completamente dal suo contesto originale. 

In senso lato, mi interessava anche la nozione di “fabulazione”, cioè sfidare la narrazione che viene registrata nella storia ufficiale.  Lo smog è stato un primo esempio di disastro ambientale su larga scala causato interamente dall’uomo. Uno dei primi segnali d’allarme dell’ingresso nell’Antropocene. Nel 1952, il governo britannico capì che lo smog era legato all’industrializzazione, ma minimizzò il legame e sottovalutò il numero di morti in eccesso causate dallo smog. Ritengo interessante rivalutare il filmato attraverso la lente dell’Antropocene, perché introduce una tempistica esistenziale al materiale.

Ho affrontato il montaggio con un arco narrativo generale in mente, ma la sceneggiatura vera e propria è emersa dal lavoro con il materiale d’archivio stesso: abbiamo tagliato un primo montaggio guidato dalla narrazione visiva e dalla musica, e ho scritto la sceneggiatura in risposta a questo primo taglio. Volevo che la voce fuori campo emergesse dalle immagini piuttosto che usare le immagini per illustrare una sceneggiatura.

 

Il film è a metà tra lo sci-fi e la sinfonia di una città, e in entrambi i casi il tema della memoria è cruciale. Ci parli di come secondo te il passato può influenzare il futuro?

 

Mi affascinano gli slittamenti tra passato, presente e futuro e il modo in cui la memoria esiste quasi al di fuori del tempo. Naturalmente, questo è anche legato alla questione del film stesso, come tecnologia e mezzo. 

Quando ho iniziato a guardare il materiale d’archivio dello smog ho pensato che le immagini potessero provenire da un disastro futuro, e questo ha creato una tensione temporale che si prestava alla fantascienza. Ma allo stesso tempo volevo considerare i modi in cui il passato e il futuro si influenzano a vicenda. Quindi questo collasso delle temporalità, il pensare al passato come futuro e al futuro come passato, è stato uno dei punti di partenza del film.  Suppongo che questo renda il presente una sorta di sospensione tra i due.

Questo si ricollega a un mio interesse costante per la psicogeografia; come le tracce del passato costituiscano il presente e il futuro, e come la nostra esperienza del luogo e del paesaggio sia sempre temporale, sempre soggettiva.

 

Vorresti suggerire ai giovani e a un nuovo pubblico alcuni titoli di found footage e/o film sperimentali che sono stati importanti per la tua formazione?

 

Rain (1929), La Jetee (1962), Sans Soleil (1983), The Beaches of Agnès (2008), Nostalgia for the Light (2010), Love is the Message, The Message is Death (2016) O.J.: Made in America (2016), El Mar, La Mar (2017)